sabato 27 dicembre 2008

Il sesto giorno dopo il solstizio d'inverno.

A prima vista mi erano sembrati dei nidi d’uccello ma continuava a sorprendermi il loro colore verde brillante. Così, avvicinandomi meglio all’albero, scoprivo che quelle palle tonde altro non erano che… Vischio. Io in genere l’avevo sempre visto oltraggiato da improponibili vernicette color oro e argento tra le bancarelle dei fioristi durante le feste di Natale, mai appeso festoso e vivo tra gli alberi. Invece ora la sacra pianta dei Druidi dimorava a perdita d’occhio su di un’infinità di alberi tutt’intorno.Che dire? Una piccola miracolosa coincidenza: era la prima volta che lo vedevo in natura e lo scoprivo proprio lì tra i Cromlek, le fonti e le radure sacre dei Celti, evocati dalle parole di Boudet tenute per caso quel giorno tra le mani sul Pla de la Coste sopra Rennes les Bains. Pianta magica e curativa che cresce senza mai toccare terra (essendo in realtà un parassita), veniva tagliata nel sesto giorno dopo il solstizio d’inverno con un falcetto d’oro dai Druidi. Secondo questi sacerdoti se due nemici s’incontravano sotto una pianta di Vischio dovevano deporre le armi e concedersi una tregua, per questo viene regalato e appeso sulle porte di casa come simbolo beneaugurate di pace. Sempre-verde caro anche alla dea nordica dell’amore e della fertilità Freya, viene usato dagli innamorati per scambiarsi il classico bacio di Capodanno sotto i suoi rami. L’importante, mi raccomando, è che non tocchi mai terra perché, come spiegava Plinio il vecchio, è una pianta posta ‘Tra cielo e terra’ e non appartiene a nessuno dei due regni. Troppo sacro dunque per essere staccato dalle mie mani, non possedendo purtroppo nemmeno un falcetto d’oro, e con la paura che per disattenzione mi cadesse al suolo, l’ho immortalato in una foto. Sono sicura che porterà pace e amore a tutti quelli che passeranno per questa soglia.

martedì 23 dicembre 2008

Forse era domani...



... o forse ieri.
Fatto sta che un giorno di dicembre di ventitrè anni fa sei arrivata a farci compagnia: paziente, tollerante, grata.
Auguri.
( E con le mani amore per le mani ti prenderò
e senza dire parole nel mio cuore ti porterò. )


giovedì 18 dicembre 2008

Il cassetto dei Contes. (You Got It)

Natale era l’unica occasione per avere dei giocattoli nuovi.
Pochi.
Eri costretto quindi a scegliere qualcosa e rinunciare, ovviamente, a qualcos’altro; dovevi perciò giocare molto bene le tue carte se non volevi rischiare di trovarti tra le mani per tutto l’anno seguente, qualcosa su cui ti accorgevi con sgomento di aver irrimediabilmente perso l’interesse dopo pochi giorni. La letterina ‘a chi di dovere’ andava dunque meditata con mesi d’anticipo; sarà forse per questo motivo, penso, che Natale mi viene in mente subito dopo il Ferragosto.
Tra i doni più ambiti, comunque, quelli che non rischiavano di deludere e che avevano al massimo bisogno di un ricambio per l’eccessivo uso, ricordo che non poteva mancare Il Gran Teatro dei Burattini.

Si presentava come un largo cassetto decoratissimo e chiuso su tutti i lati, con una dozzina di fori sul coperchio. Tirando il cassetto apparivano le quinte da incastrare nei suddetti buchi, su di un lato c’era raffigurata la sala del trono e sull’altro un bosco da cui si intravedeva il castello in cui presumibilmente si svolgevano le vicende. Coricati diligentemente uno accanto all’altro poi, i personaggi della Corte - peraltro nemmeno tanto numerosi - attendevano pazientemente il loro turno per entrare in scena. Immancabili Re e Regina, poi la principessa, il bel Guardiacaccia che aspirava alla di lei mano (o era un giovane principe?), un prete oppure un giullare, o ancora la strega o il diavolo secondo quello che ti capitava nella confezione, come i cioccolatini di Forrest Gump. Così, con un po’ di fantasia, aprendo quel cassetto sempre uguale prendevano corpo, come un’infinita variante matematica, storie sempre diverse spesso rappresentate davanti ad un pubblico numeroso ed entusiasta che nemmeno esisteva. Ma il piacere di raccontare quelle storie era sufficiente a passare bene gran parte della giornata.


domenica 14 dicembre 2008

You are so beautiful


Diciamo che non è per niente facile stare qui, a chilometri di distanza, a pensare a lei...

lunedì 8 dicembre 2008

Rennes le Chateâu 2008 - (Blue moon)

Rennes riservava molte sorprese quest'anno, poche piacevoli.
Quella peggiore è stata trovare praticamente sigillate le porte per visitare Villa Bethania. Ora si accede solo alle stanze del pianterreno e la seconda è a sua volta chiusa da una porta a vetri che mostra gli arredi migliori: il Mucha, il Piano, Pissidi, Calici, abiti ecc.; credo che per questo si debba ringraziare vivamente gli imbecilli che tentano sempre (a volte purtroppo riuscendoci) di portarsi a casa qualche souvenir.

Il giardino era, al solito, in pessime condizioni, ma si sono premurati di nascondere la peraltro bruttissima nuova tomba di Saunière dietro alcuni cespugli, togliendo quelle orribili cannette di bambù dal cancello che servivano a non far vedere, senza aver pagato, il mausoleo del… Prete miliardario. Triste prima, tristissimo ora.
La galleria sotto le due torri si presentava fatiscente e le ragnatele imperversavano dappertutto. Perfetta per Halloween. Meno per la visita estiva dei turisti che, sul libro degli ospiti all’ingresso del Presbiterio - sotto un entusiastico e davvero confortante “Che postone!!!!!!!!!”- sottoscrivevano un laconico: “4,50 euro buttati via”… impensabile, eppure vero!
La Tavola dell'Abbé dell’indimenticabile Robin ora è diventato: “Le jardin de Marie” dove sembra che a tenere alto l'orgoglio della nazione sia solo la Pelforth. Il piatto forte, infatti, è l'insalata greca, i proprietari sono teutonici, la bandiera è quella occitana, il thè inglese, le candele tibetane, il cameriere con giacca orientale sembra buddista. Perlomeno nell’imperturbabilità.
Sparita la carta con il pentacolo di Lincoln sostituito da uno stemma gigliato.
Anche il padrone spirituale sembra cambiato, al centro del giardino, infatti, un bronzetto di Budda ospita tra le mani il dono di un fiore...
Le sosprese piacevoli sono state altre: la nostra bella rivista “Indagini su Rennes le Château” in tutte le librerie e sotto braccio a qualche turista, l'edizione della LVLC curata da Migdom in vetrina all'Empreinte, la guida di Mammaoca scaricata da Internet e in bella mostra sul cruscotto all’interno di qualche vettura… (eh, son soddisfazioni!) e cose che nessun nuovo gestore ci può togliere, come questa spettacolare luna piena sul Bugarach.


venerdì 5 dicembre 2008

Il Graal a Ravenna. (Il sacrificio. Nyman)

Roma, agosto 258.

Lorenzo si era per puro caso appena allontanato dal gruppo riunito nel cimitero di Prætextatus quando, richiamato dal trambusto, aveva assistito impotente dalla strada alla brutale cattura degli altri diaconi. Con sé aveva l’oggetto che Sisto II gli aveva affidato poco prima con l’incarico di portarlo lontano da Roma. La coppa del sacrificio, povera e semplice com’era, avrebbe solo rischiato di essere distrutta dall’ignoranza di quegli avidi pagani mentre Valeriano, conoscendone il potere, non avrebbe esitato a servirsene contro di loro. Non c’era tempo da perdere. Si avviò furtivo verso le vicine scuderie dove Diego, fidato amico d’infanzia, l’avrebbe portata oltre i Pirenei verso la loro città natale; al suo ritorno gli avrebbe rivelato i dettagli del nascondiglio. Ma il destino è un solitario di Dio, non una partita tra uomini: la coppa non arrivò mai a Osca e loro non si sarebbero più rivisti.


Aquae Calidae Agosto 415 d.C.

La gravidanza era oramai al termine. Ataulfo l’aveva condotta presso le terme poco tempo prima di partire per Barcino per concederle un po’ di ristoro e per tentare di alleviarle le fastidiose contrazioni che avvertiva ormai da qualche giorno. Nel tardo pomeriggio con il carro l’aveva ricondotta lentamente e pieno di attenzioni verso la cittadella che dominava come un nido d’aquila la valle sottostante. Lungo il tragitto si erano fermati per l’ultima volta al tempio che sorgeva nella grande spianata, circondato da cespugli di erbe aromatiche e da un nastro di ciottoli asciutti che indicava la presenza di un torrente. Nella casa del loro Dio comune, questa volta le aveva mostrato qualcosa di speciale.
Un arco a ferro di cavallo al di sopra del quale erano incisi innumerevoli fiori a sei petali simbolo della vita, si apriva nella facciata del sacro edificio in pietra e sormontava due monolitiche colonne in granito. Sopra di esso il muro si prolungava verso il cielo in un sinuoso muretto che accoglieva una feritoia in cui era posta una campana di bronzo. Il piccolo ingresso quadrato e spoglio, dava accesso ad un più ampio locale rotondo le cui pareti erano fino a metà altezza in pietra grigia e il restante spazio in arenaria rossa; le due tonalità di pietre erano separate da un motivo geometrico di stelle a quattro punte con un bottone centrale a loro volta inscritte in un cerchio e lo strano decoro si rincorreva lungo tutta la circonferenza. Da qui si entrava in un secondo spazio sempre circolare molto più grande, circondato da colonne con capitelli scolpiti con foglie sormontati da archi in pietra rossa sempre a forma di ferro di cavallo che davano all’insieme un aspetto vagamente moresco ma estremamente sobrio. Al di sopra di ogni arco le monofore lungo tutta la circonferenza assicuravano a questa sala la luce necessaria in ogni ora del giorno. Nel corridoio tra le colonne Ataulfo le rivelò l’accesso ad una cripta sotterranea da cui partiva un lungo cunicolo in cui, dopo aver acceso una torcia, s’incamminarono per un tempo che a Galla Placidia parve infinito. Giunsero in un enorme anfratto su cui si affacciavano alcune gallerie. Ciascun ingresso era preceduto da una pietra rettangolare riccamente scolpita sui quattro lati con motivi differente: croci dalle estremità ricciolute come se ne vedevano sulle loro monete, pavoni intenti ad abbeverarsi a una coppa, motivi geometrici, piante e fiori mirabilmente raffigurati. Ataulfo entrò sicuro in quella preceduta dal basso pilastro recante l’Alfa e l’Omega ai fianchi di una croce e tenendola per mano la condusse lungo la galleria. Durante il tragitto lo sposo le rivelò che le altre gallerie celavano impervi labirinti mortali o conducevano sul ciglio di profondi baratri oppure venivano sommersi a sorpresa dalla piena improvvisa di tumultuosi corsi d’acqua sotterranei.
Prima che l’ansia per il buio e il forte odore della terra umida cominciassero a diventare un problema per Galla Placidia, sbucarono in una grotta e alzando la debole fonte di luce sopra le loro teste Ataulfo le mostrò un enorme tesoro. Quello ricchissimo che le aveva donato il giorno delle nozze portato su due enormi vassoi da valletti vestiti di seta nella loro stanza nuziale, a casa di Ingenius a Martius Narbo, appariva come un modestissimo obolo.
Appena riuscì ad abituare gli occhi alla debole luce della torcia riconobbe anche l’enorme candelabro giudeo sottratto a Roma da Alarico. La sua sagoma inconfondibile si ergeva come una scheletrica sentinella sopra quelle innumerevoli casse piene di perle, coralli, pietre preziose e oggetti in oro e argento.
I riflessi scintillanti di enormi piatti, brocche, diademi, bracciali e collane si mescolavano ai bagliori delle gemme provenienti dai paesi più lontani. Sottili filigrane o ardite incisioni, millimetriche granulazioni, sbalzi o delicate bulinature svelavano la provenienza dei vari bottini: gli oggetti più finemente cesellati provenivano dalla Colchide. In questa terra, le raccontò Ataulfo, i fiumi erano così pieni d’oro che bastava tendere controcorrente una pelle di ariete per trovarla alla fine della giornata ricoperta di innumerevoli piccole pepite e pagliuzze.
Dunque la leggenda del vello d’oro che tanto l’aveva affascinata da bambina, pensò un po’ triste, non era altro che questo semplice sistema di estrazione dell’oro…
Quello era il tesoro della sua gente, spiegò Ataulfo, non aveva nulla a che fare con quello personale che seguiva i capi nelle loro tombe: era il futuro del suo popolo.
Egli, mostrandoglielo, compiva un atto di totale fiducia e amore.
Sopra le loro teste sferzata da un caldo vento profumato, la cittadella di Rhedae guardava verso i Pirenei sopra le cui cime erano sospese come un minaccioso presagio enormi, cupe e pesanti nubi nere.


Barcino, ottobre 415 d.C.

Ataulfo e Valia, il fido fratello minore, avevano lasciato la città senza scorta quando ancora la luce del sole non aveva cominciato a diluire il buio della notte e non vi avevano fatto ritorno che qualche giorno dopo, ricoperti di povere e sudore come i loro cavalli. Nessuno seppe mai la mèta e lo scopo di quella missione.
Quel fagotto nascosto sotto il mantello era per suo figlio Teodosio nato da pochi giorni, colui che avrebbe dominato il grande regno unificato dei popoli dei genitori. Ignorava che la vendicativa lama del potere e l’infausto destino del piccolo gli avrebbero impedito entro breve di veder realizzato il suo desiderio.

Ruscino, marzo 416 d.C.

Valia aveva stretto a lungo Galla Placidia tra le sue braccia prima di dare inizio al viaggio che l’avrebbe riconsegnata al fratello imperatore, era stata la sua regina ma soprattutto una cara sorella. Non aveva sopportato le angherie cui l’aveva sottoposta Sigerico dopo l’assassinio di Ataulfo e aveva provveduto a porvi sommariamente termine in pochi giorni. A guidare i Visigoti ora era di nuovo un fiero discendente dei Balti.
Dopo l’abbraccio le aveva consegnato quel fardello di candida pelle d’agnello chiuso con lacci di cuoio che racchiudevano l’oggetto sottratto chissà dove con il fratello nei primi giorni del loro arrivo a Barcino.
Per Valia e il suo popolo ariano, quella vecchia coppa di stagno non aveva nessun valore né materiale né religioso, per Galla Placidia invece il valore era inestimabile, incapace anche solo di toccarla con le mani tremanti.
Valia aveva dovuto nascondergliela personalmente tra le grandi casse al suo seguito, casse dove già era stato riposto con cura il tesoro avuto in dono da Ataulfo nel giorno delle nozze.

Nemausus, aprile 416 d.C.

Nel carro, tra le calde pellicce del tutto insufficienti però a scioglierle il gelo delle mani, Galla Placidia riviveva le tappe di quel viaggio a ritroso con infinita tristezza. Cupo, ora, l’azzurro del cielo che tanto somigliava agli occhi di Ataulfo, astioso il maestrale che un tempo aveva portato lontano lo scampanio del suo primo giorno di sposa e regina, crudele quel profumo di pini e di mare di cui il piccolo Teodosio sembrava sempre profumare tra i sottili capelli…
Costanzo guidava la lunga colonna di soldati che scortava la sua promessa sposa verso la città di Ravenna. Più volte i loro sguardi si erano incrociati durante il tragitto, ma in quei grandi occhi scuri Costanzo non vedeva che un buio, profondo pozzo insondabile.
L’inconfondibile profilo della Torre Magna, la più alta tra quelle del muro di cinta, avvertiva che presto avrebbero raggiunto la méta e Galla Placidia avrebbe ricevuto gli onori a lei dovuti nel tempio del Foro dedicato a Caio e Lucio Cesare nel centro della bella città. Da qui, l’indomani avrebbero abbandonato la Via Domitia per riprendere verso sud la Iulia Augusta che li avrebbe condotti senza ostacoli verso la méta.

Ravenna, 445 d.C.

Galla Placidia rimase ancora un poco a fissare negli occhi la figura di san Lorenzo nella lunetta della navata, poi uscì di nuovo alla luce del pallido sole di novembre richiudendo alle spalle il pesante battente dell’edificio. Nelle oscure profondità dell’edificio a forma di croce giaceva accuratamente nascosto la causa di quel martirio. L’ultimo preziosissimo dono del suo sposo.


Le fate di Rennes-le Château (The best things in life are free)

Per me, che nell’inquinata provincia Padana vedo al massimo delle bianche e semplicissime Cavolaie, lo spettacolo delle farfalle di Rennes le Château non smette mai di stupire.

Eppure, se tenete ben presente che non lontano da qui, sui colli a metà strada con Rennes les Bains, esiste il Pla de las Brugos ovvero il pianoro delle fate (dove, per i Celti, nella notte di Shamhain esse portavano gli uomini ammaliati intrappolandoli per sempre), la cosa non dovrebbe meravigliare più di tanto. Terra di sogni e di leggende, in quale altro luogo potreste immaginare che le fate dei boschi si servano di questi insetti per volare veloci di fonte in fonte, o che siano proprio loro con scintillanti ali vittoriane a posarsi continuamente vicino a voi? La leggenda delle Fate-farfalle racconta che queste si possano vedere solo per un attimo abbagliandovi quasi subito con i riflessi delle loro ali; che adorino piante e fiori da cui traggono energia vitale e che avvicinandosi alle persone creino intorno a loro uno stato di pura armonia. Forse queste non erano Fate-farfalle perché rimanevano a lungo sotto il mio sguardo, ma ho un grosso dubbio perchè, per quanto riguarda l’armonia, la leggenda ha proprio ragione.





lunedì 24 novembre 2008

Jean Markale, le vieux druide (Why Does My Heart Feel So Bad)


Non avevo idea che fosse lì, una sera d’estate qualunque a Rennes-Les-Bains e, sinceramente, non credevo nemmeno potesse essere davvero lui anche se la sua immagine, sbirciata su Intenet, rivelava i tratti arcaici del Druido che mi sembrava di scorgere in quel momento. Incorniciato dall’inseparabile nuvola di capelli bianchi, infilato dentro una giacca bianca troppo grande, esile come la scia di fumo di sigaretta che usciva dalla sua bocca, camminava lentamente sul lato opposto della Grand Rue, talmente minuto e latteo da sembrare una visione: un antico sacerdote delle radure capitato per sbaglio nelle strade del paese. Ho alcune foto della sua conferenza nel giardino di Villa Bethania in quell'estate del 2006, mosse per l’emozione che i suoi racconti sapevano infondere, buie per rispetto ma anche per paura che con un lampo di flash potesse sparire, come un’illusione.


giovedì 20 novembre 2008

La Tour Magdala (Innocent when you dream)










L’ effetto “Smoke” è praticamente l’azione compulsiva che mi prende all’arrivo a RLC alla vista della Tour Magdala. Nell’introspettivo e bellissimo film del 1995, si vede il protagonista Auggie scattare ogni mattina alla stessa ora, una foto con l’identica inquadratura fuori dalla sua tabaccheria tra la Settima Avenue e la Terza Strada a Brooklin. La costernazione di chi viene invitato ad osservare le foto è lampante: è un doppione noioso moltiplicato all’infinito, fino a che Auggie suggerisce di soffermarsi sui particolari fino ad allora ignorati… e ti senti improvvisamente un po’ come lo stolto che guarda il dito che indica la luna. Ad un’indagine più attenta, nelle centinaia di scatti superficialmente sempre uguali, il dettaglio è sempre difforme e accende immediatamente il ricordo di ‘quel’ preciso momento: la gente che passa è differente, le vetture al semaforo cambiano, il clima muta e le stagioni si avvicendano. Una genialata. Con questo spirito riguardo spesso e volentieri le foto della Torre che ingombrano la memoria del mio PC; Lei è sempre la stessa ma, se guardi bene, c’è ottobre con la nebbia, settembre al tramonto, la canicola di agosto, le ginestre di maggio, la lavanda di luglio… Non ho mai, però, il coraggio di Auggie di mostrarle tutte ad alcuno per non vedere la stessa costernazione del film sulla faccia di chi le guarda… Stolti. E’ una collezione di attimi irripetibili, un multiplo alla Andy Warhol la cui visione è simile ma profondamente differente. Emotivamente differente.


domenica 16 novembre 2008

La torta di Asmodeo - Devil's cake (Viens!)


Il termine “Deviled” per indicare alimenti piccanti o speziati, risale al XVIII secolo. In italiano traduciamo la parola con: ‘alla diavola’ locuzione che non rende quel certo non so che di peccaminoso e tentatore del concetto anglosassone che include anche cibi scuri come quelli cucinati, per esempio, con il cacao. Le torte al cioccolato sono quindi chiamate “Torte del Diavolo” sia per il loro irresistibile richiamo goloso che per il loro aspetto scuro e gli ingredienti ricchi e stimolanti. Una vera tentazione. Poteva mancarne una dedicata al nostro affascinante Asmodeo? No di certo. Preparate per l’impasto 170 gr. di zucchero di canna, 110 gr. di cioccolato fondente tritato, 125 gr. di panna acida (o crema di latte), 300 gr di farina 00, un pizzico di sale, 3 cucchiai di cacao amaro, 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio, 120 gr. di burro, 200 gr. di zucchero, 2 uova, 1 cucchiaino di estratto di vaniglia e 175 ml. di acqua. Per la glassa e la farcitura: 150 gr. di cioccolato fondente, 150 gr. cioccolato al latte e 225 ml. di panna acida (o crema di latte). Far sciogliere a fuoco molto basso lo zucchero con il cioccolato fondente tritato e la panna acida (o crema di latte). Una volta amalgamati gli ingredienti, toglierli dal fuoco e lasciarli riposare fino al momento dell’utilizzo. Setacciare insieme la farina, il cacao e il bicarbonato e metterli da parte. Lavorare ora lo zucchero con il burro fino ad ottenere la classica crema liscia e spumosa. Aggiungere l’estratto di vaniglia e, sempre mescolando, incorporare uno alla volta i tuorli d’uovo. Aggiungere il composto di farina un solo cucchiaio alla volta, mescolando bene prima di aggiungerne un altro, alternandolo con l’acqua. Montare gli albumi a neve ed unirli al composto lentamente, con un movimento dal basso verso l’alto. Prendere due teglie tonde di 23 cm. (meglio stampi a cerniera) foderarli con carta da forno e dividervi in parti uguali il composto. Infornare per 30 minuti a 180°. Una volta cotti, toglierli dallo stampo e lasciarli raffreddare completamente. Sciogliere a bagnomaria il cioccolato al latte e quello fondente, toglierli dal fuoco quando saranno completamente sciolti e amalgamarvi la panna. Lasciate riposare il tutto fino a che diventerà più densa e facilmente spalmabile. Coprire un disco con l’impasto della farcitura, appoggiarci sopra l’altro disco e colarci sopra la restante glassa fino a ricoprirlo interamente. Peccate tranquillamente da soli o in compagnia più volte al giorno.


venerdì 14 novembre 2008

Di ritorno da Colliure.... (How Can You Mend A Broken Heart?)


... il sole imprigionato tutto il giorno dentro una nuvola grigia si ribella e accende l'orizzonte con un lampo. Nella vallata sotto le mura di Queribus tutto è silenzio.

venerdì 31 ottobre 2008

1907, la rivolta dei vignerons (La petite Tonkinoise)




Era oramai giunta la fine di quel luglio eccezionalmente fresco del 1907. La carestia che si stava espandendo a macchia d’olio su tutto il territorio dipingeva spettrali quadri di disperazione quotidiana anche sotto la collina di Rennes-le Château. Marie proprio la settimana prima aveva visto Eliane – compagna nella cappelleria di Esperaza maritatasi poi con un viticoltore di Limoux - entrare nella panetteria di Coiuza con i suoi tre figlioletti e domandare timidamente sottovoce alla signora Camredon: “Avetz pas un pauc de pan? Avem pas res manjat dempuei ièr matin...” . Dopo il primo momento d’imbarazzo, tra le due donne si era presto ristabilita la vecchia intimità ed Eliane si era confidata a lungo con Marie rivelando il grave stato di indigenza di tutte le famiglie che avevano affidato speranzosi alle vigne il loro sostentamento. Alla fine, in cambio di una cassa di forte e generoso vino rosso, Marie aveva dato all’amica un coniglio e un grande cesto di verdura proveniente dai suoi rigogliosi orti. Orti e giardini che, insieme alla splendida villa dove sempre più spesso venivano ricevuti elegantissimi ospiti, costringevano ripetutamente Marie a ringraziare il miracolo che aveva permesso tutto ciò mentre intorno dilagava la disperazione. Quella domenica, per gli ospiti di villa Bethania, Marie aveva cucinato uno splendido ‘coc au vin’ proprio con il vino rosso avuto da Eliane e ben presto l’argomento ‘vino’ aveva acceso i toni di tutti i presenti. Dujardin-Beaumetz, sprofondato nella poltrona preferita di Saunière, denunciava il suo nervosismo tormentando il mozzicone del sigaro che avvolgeva con ampie spirali di fumo profumato tutta la sua persona. “Frodi e falsificazioni costringono ad un prezzo vergognoso la vendita del vino. Un centralismo cieco e dispotico, ecco cos’è attualmente il nostro governo.” “Ah, bièn Etienne! E così questa repubblica non ha fatto tutto quel bene che si aspettavano, eh?- Ribattè pronto Saunière che, come tutti i monarchici, seguiva con speranza lo sviluppo delle cose, sognando una rivalsa contro tutte le leggi anticlericali degli anni precedenti - Ma che guardino in faccia la realtà prima di lagnarsi! Prima trasformano in vigneti anche la buona terra, quando sapevano benissimo che solo i terreni incolti andavano coltivati a vite; poi, quando le loro cantine traboccano di vino invenduto, non hanno più nemmeno patate da mangiare. Bestiàs! Non gli è servita dunque a nulla la lezione della fillossera? Si sono mai preoccupati della concorrenza Algerina e Spagnola? Mai! Ma quali frodi… asini che non sono altro! ” Saunière spostò la tendina della finestra e guardò fuori, nel bel giardino di fronte. Faust e Pomponnet si stavano riposando vicino alla loro cuccia dopo aver scavato diligentemente altre nuove buche nel giardino e rovesciato alcuni vasi di gerani della Marro. Tra non molto il curato avrebbe goduto pienamente del disappunto provocato nell’anziana donna dall’operato delle due bestiole. La loro vista lo metteva sempre di buon umore: l’indisciplina di quei cani gli ricordava la sua giovinezza a Montazel insieme ad Alfred. Per arginare la loro esuberanza il padre fu costretto a chiuderli in seminario; Alfred era l’unico che poteva immaginare quale vulcano serbasse nell’intimo. Quanto gli mancava quello scapestrato fratello. La voce del deputato lo riportò alla realtà. Nonostante anni di amicizia, quando i discorsi prendevano la sdrucciolevole china della politica nulla poteva arginare le reciproche pesanti provocazioni; Saunière del resto non gli aveva ancora perdonato il recente voto a favore della separazione tra Stato e Chiesa. “…anche il vostro giornale monarchico ‘Le Roussillon’ però, dopo questi disordini intravede un periodo di reggenza popolare. Non è un discorso paurosamente vicino a quello socialista?” stava obiettando sarcastico Dujardin. Tiburce Caminade smise di botto di strimpellare sul pianoforte. Né lui né la Calvè del resto, erano più riusciti a suscitare le irrefrenabili risate che i doppi sensi dello scollacciato motivetto da Vaudeville avevano saputo scatenare fino a pochi minuti prima tra gli ospiti. “Ricordatevi bene che l’unica bandiera rossa che sventola qui intorno, è quella della lotta Occitana! – sbottò – Bene han fatto i sindaci a gettare in faccia al governo le loro sciarpe tricolori e ad issare la bandiera nera sui municipi: qui la Repubblica è morta! A Limoux e ad Alet la situazione è insostenibile e a Narbonne le nostre delegazioni sono state più volte minacciate dall’esercito. Che grande gioia ci hanno dato il mese scorso i fanti del 17° schierati a Béziers contro i viticoltori quando si sono ammutinati… hanno fatto finalmente capire a Parigi che questa è la terra di un popolo unito e forte. Dopo quanto è successo non riusciranno più tanto facilmente a reprimere la lotta popolare. L’indipendenza della Linguadoca potrebbe non essere più solo un sogno.!” Concluse quasi sottovoce. Dal suo accorato discorso trasudava tutto l’amore per la sua gente, ma anche un insospettabile temperamento sovversivo. “Suvvia signori – intervenne Emma conciliante - possibile che riusciate a litigare anche sostenendo le medesime convinzioni?” Il vestito di seta marrone frusciava ad ogni passo e il bustino che le stringeva la vita esaltava l’armoniosa forma del grande seno materno catturando irresistibilmente lo sguardo dei tre uomini; a quarantanove anni Emma era ancora una splendida donna e con le idee molto chiare. “ Dopo la sanguinaria repressione a Narbonne ordinata dal ‘Tigre’ anche i socialisti di Jaurès si sono allontantati da Clemenceau. Vedrete che presto Parigi non potrà fare a meno di intervenire con buone leggi se non vorrà vedere di nuovo una rivoluzione insanguinare la nostra bella terra.” “Un’altra rivoluzione? - Chiese allarmata Marie che saliva dalla cucina in quel momento con un grande vassoio pieno di bicchieri di cristallo tra le mani – ci mancherebbe solo quello. Ancora non ci siamo sistemati gli strascichi di quella passata. Dio ce ne scampi!” “Brava Marinette! – asserì Saunière che, in fondo, conscio della diversità di pensiero dei suoi ospiti, non vedeva l’ora di ricomporre il precario equilibrio che si era formato prima di quella discussione – un brindisi con il nostro migliore vino del Midì è il modo migliore per allontanare lo spettro di un’altra guerra tra poveri …” . Il botto del tappo e il vino spumeggiante riportarono il buonumore tra i presenti. Emma si riavvicinò al pianoforte sfiorando intenzionalmente il curato affatto insensibile al fascino della bella donna. Il deputato, cui non era sfuggito il gesto, soffiò una nuova nuvola di fumo verso l’alto sorridendo sotto i lunghi mustacchi. L’architetto riprese il motivetto da dove l’aveva interrotto e la voce di Emma tornò a riempire la sala: « ...Je suis vive, je suis charmante Comme un petit oiseau qui chante Il m'appelle sa petite bourgeoise Sa Tonkiki, sa Tonkiki, sa Tonkinoise... ” Marie, che aveva smesso di versare il vino nei calici, alzò il suo alla salute e fissando negli occhi la dama appoggiata al pianoforte concluse con voce ferma la strofa : “…D'autres lui font les doux yeux Mais c'est moi qu'il aime le mieux. ”


...e cric e crac, mon conte es acabat!


martedì 21 ottobre 2008

Aqua, acquae (Circle)


Sbagliate a pensare che Rennes-le-Chateau e dintorni significhino solo aria (vento onnipresente) e terra (montagne, miniere, grotte e sotterranei da esplorare), qui l’elemento principale è l’acqua. E se la vicina Rennes-les-Bains vanta un discreto numero di fonti da scoprire, vi sono molti altri luoghi dove passare piacevoli pomeriggi a contatto con questo rivitalizzante elemento. Se, dunque, fino ad ora avete solo guadato la Sals o la Blanque alla ricerca delle tracce di tesori nascosti infangandovi fino all’inverosimile, provate per esempio a prendervi una rigenerante sosta al lago di Montbel poco lontano da Chalabre. Distante circa 35 chilometri da Rennes e creato nel 1984 per soddisfare la richiesta d’irrigazione degli agricoltori, attira ogni anno migliaia di turisti entusiasti sulle sue rive, davvero panoramiche, che coprono la ragguardevole area di ben 570 ettari. Privo di qualsiasi scarico urbano e circondato da una natura incontaminata, possiede acque limpidissime dalla splendida colorazione turchese e ricche di pesce. Oppure immergetevi in quello de la Cavayère a Montlegun, che di ettari però ne copre solo 18 ed è chiamato familiarmente ‘La spiaggia di Carcassonne’. Posto ideale dove rinfrescarsi dopo una giornata tra le mura della Cité da cui dista pochi minuti in direzione Narbonne, è sorto in seguito ad uno spaventoso incendio del 1985 per volontà di un sindaco intraprendente. Mini golf, pedalò, beach volley e parco acrobatico fanno di questo lago un luogo di svago familiare. Un pic-nic ai bordi di quello ad Arques, attrezzato con panche e tavoli sulle rive vi permetterà di raggiungere di nuovo in poco tempo i luoghi della vostra passione, regalandovi, senza dovervi allontanare troppo, qualche ora di relax. A Puivert si coniuga la vista piacevole dell’acqua a quella sempre intrigante del suo castello che ne domina il perimetro come un’attenta sentinella, ma se amate i luoghi ameni, silenziosi e pescare in santa pace, niente di meglio di quello a Bugarach, sempre naturalmente dopo aver ottenuto la licenza (anche solo giornaliera) per farlo.
Se siete più avventurosi e anche dall’acqua desiderate emozioni forti, potrete contare sulla generosità e l’impetuosità del fiume Aude e trovare numerose attività di Rafting, Hydrospeed e Kayaking a diversi livelli di difficoltà, pronte ad attendervi nelle spettacolari Gorges de Saint George e della Pierre-Lys ad Axat, ma anche a Quillan, Alet-les-bains e Limoux, e il percorso forse più suggestivo nell’Agly, tra le Gorges du Galamus. Decisamente più rilassante ma non meno emozionante, sarà imbattersi in una fonte durante una gita tra i boschi. L’acqua a volte zampilla dai luoghi più imprevisti: tra le fenditure delle rocce o dalla nuda terra, con riflessi adamantini o ramati, incredibilmente fresca, calda o… salata. Se trovare una semplice fonte d’acqua, infatti, è perlomeno comune, bagnarsi lungo il greto di un fiume in una calda è elettrizzante e trovarne una salata tra i boschi è quasi inverosimile. Per scovarla prendete la direzione di Sougraigne, attraversate il villaggio e proseguite seguendo le indicazioni per il ‘Domaine de la Salz’ percorrendo una stradina di montagna piuttosto accidentata. Parcheggiate nello spazio creato per le vetture e in pochi minuti, attraverso il sentiero ben evidenziato, raggiungerete la fonte salata e quello che resta della Caserma dei Gabellieri, gli ufficiali preposti alla sorveglianza del sito dai contrabbandieri di sale. Pannelli esplicativi lungo il percorso chiariranno ogni domanda. Gustare qualche goccia di acqua salata appena sgorgata dalla terra sarà davvero sorprendente. Con un po’ di fortuna e di buona volontà potrete mettervi anche sulle tracce delle cascate. Impedibili quelle della Salz, poco lontane dalla sorgente salata e quella ‘Des Matieux’ sulle pendici del Bugarach, splendido luogo tra farfalle multicolori, fiori e more. Ma la conformazione di questa zona regala suggestivi salti lungo qualsiasi tragitto d’acqua. Non per niente uno dei siti più frequentati è la Fontaine des Amours vicinissima a Rennes les Bains in direzione Sougraigne. Anche gli incorruttibili pigroni troveranno soddisfazione nella piscina termale di Rennes-les-Bains. Con i suoi 37 gradi e la comodità di trovare all’interno dell’edificio una serie di coccole rivolte al benessere (vasche Jacuzzi, massaggi e fanghi), potrebbe rivelarsi un piacevole vizio in cui ricadere senza conseguenze anche ogni giorno. Se poi a fine giornata pensate di non esservi dedicati a sufficienza all’alchimia del luogo ricordate che lungo la Salz, alla periferia di Rennes-les-Bains, potete accendere suggestivi fuochi in tutta sicurezza nei grill appositamente costruiti sulle sue rive e godere, oltre al chiacchierio incessante dell’acqua lungo le graziose cascatelle del suo tragitto, quanto avrete saputo pescare da voi o, più semplicemente, quanto di meglio sarete riusciti a procurarvi al supermercato. Sarà il modo più piacevole per riunire perfettamente aria, terra, acqua e fuoco. La Quint'essenza? Puro spirito...della Fata Verde.

giovedì 16 ottobre 2008

Ma bèra amor


Despuish l’Aup italiana a truvèrs vilas e monts e lanas
e dinc a la mar Grana que senhoreja ua sobirana
Entant de mila annadas qu’audin son arrìder de mainada
sas cantas encantadas sos mot d’amor de hemna tant aimada.
Jo que l’escotarèi com s’escota a parlar ua hada,
Jo que la servirèi dinc a la mea darrèra alenada,
un dia, un berròi dia tos coneisheràn ma sobirana.
Ma mair, ma sòr, ma hilha
Ma bèra amor qu’ei la lenga occitana.

Dopo le Alpi Italiane Attraverso città e monti e pianure e fino all’Oceano Atlantico regna una sovrana. Dopo mille anni risuona la sua risata di bimba, le sue canzoni ammalianti, le sue parole d’amore di donna tanto amata. Io, io l’ascolterei come si sta ad ascoltar palare una fata e la servirei fino al mio ultimo respiro. Un giorno, un bel giorno, tutti conosceranno la mia sovrana. Madre mia, sorella,figlia, il mio vero amore ch’è la lingua Occitana.

Romanza


Forse è la luce, forse i profumi, qualcosa comunque che accende i sensi e l’istinto. Che tu stia entrando in una terra speciale, ne hai il sentore lungo tutto il tragitto che fila dritto e rassicurante verso Sud. Ma appena lasci l’autostrada che costeggia il mare, girando attorno alle guglie gotiche della cattedrale di Narbonne, ne hai la certezza. Sulla cima delle colline tutt'intorno, si profilano le mura di antiche fortezze ormai diroccate che sembrano rimaste a guardia di qualcosa che, seppur soffocato in tempi lontani, cova vivace sotto la brace pronto a riaccendersi se solo spira il vento giusto. Il vento necessario è solo un alito, un respiro, una parola. E’ il suono della lingua occitana che soffia tra le ginestre e il mare e racconta da sempre l’amore per un’identità che non si vuole perdere a nessun costo. E’ il Patois accorato dei cartelli del 1907, quello schietto dei contadini che si raccontano la giornata, quello che da straniero ascolti di nascosto affascinato dall’intrigante poesia del suono. Così non è difficile, fermandosi ad ammirare incantati (ancora una volta) i cappelli da fata rossi e blu ritti sulle torri di Carcassona, intonare, sorpresi dalla facilità con cui è entrata a far parte del tuo bagaglio conoscitivo, un’aria trobadorica che sembra da sempre dormire nel cuore.

venerdì 26 settembre 2008

L'Hotel de France (J'ai deux amours)


Ci sono luoghi che esercitano un fascino inspiegabile per la nostra mente, condizionato probabilmente da quello che Konrad Lorenz non avrebbe esitato a paragonare ad un elementare Imprintig. Mi spiego solo così l’attrazione morbosa che provo per il vecchio albergo in cui passo i miei soggiorni a Rennes les Bains. Anni fa, dopo alcuni rifiuti dagli alberghi più gettonati della zona, quando oramai la notte si approssimava ed eravamo stanchi, infreddoliti e affamati, Madame Russellot ci accolse senza chiederci né da dove venivamo, né se avevamo una prenotazione, con un sorriso che, avrei scoperto in seguito, non l'abbandona mai. L’albergo è, in verità, davvero obsoleto, le scale di legno scricchiolano, i corridoi hanno un vago sentore di kerosene incombusto, la biancheria non è ricercata (ma pulita), le chiavi sulle porte sono spesso un optional perché davvero regna una fiducia totale, ma entrare lì dentro equivale a fare un salto temporale. Gli arredi e gli oggetti rivelano un passato che non esito a definire fastoso. Le sedie, le poltroncine e i divanetti in legno, sono Thonet originali che da soli valgono una fortuna ed è facile trovare qua e là graziosi orologi tipo Parigina in vari materiali che farebbero impazzire gli appassionati. La cucina non lascia spazio all’etnico, tanto di moda, e minestre e patè vari nonché l’immancabile Camembert, vengono serviti su enormi vassoi in argento antico (o meglio, proprio ‘vecchio’) o in grandi zuppiere di porcellana sbeccata; spesso chi mi accompagna storce il naso. Lo so che la maggior parte di noi è attratta dal rassicurante arredamento global Ikea che imperversa anche qui, dalle candeline accese dentro i Galej, e dal piumone Blasippa che fanno tanto trendy, ma io adoro gettarmi in questo angolo di Francia incontaminato, dormire sui vecchi letti con materassi ad elastici come quelli della nonna, soffocare sotto una pesantissima trapunta di lana, scarabocchiare su questi scrittoi che in un tempo devono aver visto centinaia di teste piegate diligentemente a scrivere cartoline e lettere ai parenti rimasti a casa, aprire le ante scricchiolanti degli armadi e riporre la biancheria nei cassettoni ricoperti sul fondo da fogli di candida carta bianca. Forse rincorro un passato che ho solo assaggiato e di cui ho un ricordo struggente, ma più semplicemente voglio sentirmi in un altro luogo che non somigli per nulla a quello stereotipato a cui siamo abituati. Per questo a volte più la camera è ‘vecchia’ più mi piace: sembra di essere finiti nel bel mezzo di un’indagine di Maigret in pieni anni ’50…

sabato 5 luglio 2008

Les O.V.N.I. sont parmi nous (One Flew Over The Cuckoo's Nest )

Il Bugarach è da tempo indicato come luogo di fenomeni O.V.N.I (oggetti volanti non identificati). Ci si può credere o meno. Ma se poi nella vicina Rennes les Bains crescono piante come questa c'è da chiedersi se per caso non ci sia qualcosa di vero nei racconti ascoltati.

martedì 1 luglio 2008

Il vecchio del Bugarach - "Nemo accipit qui non legitime certaverit"

Ci sedemmo al tavolo della locanda dopo una giornata di lento girovagare tra i boschi di Rennes les Bains. Cominciava a piovere ed il camino acceso, anche se eravamo in piena estate, ci stava proprio bene. Al tavolo al nostro fianco, un vecchio gustava la sua Cassoulette con lo sguardo fisso ad una foto sulla parete di fronte. Sotto si leggeva: “Il ponte del Diavolo – Bugarach”. Non sembrava soprapensiero, solo assorto ed i suoi occhi scuri sembravano scrutare ogni particolare di quell’immagine. I nostri discorsi un po’ eccitati sulle due Rennes e su quanto avevamo visto quel giorno, parvero scuoterlo dai suoi pensieri e ci rivolse lo sguardo. Aveva un lievissimo strabismo che nulla toglieva, però, alla capacità di mettere una lieve soggezione in chi stava osservando; tutto emanava forza e caparbietà da lui, incuteva istintivamente rispetto. A dispetto dei capelli grigi e delle profonde rughe di fianco agli occhi, ci accorgemmo che doveva essere più giovane di quello che sembrava, ma forse una vita difficile come quella dei montanari, sembrava averlo “sciupato” prima del tempo. Lo salutammo e lui ci augurò buon appetito, ma lo fece in uno strano dialetto molto più simile allo spagnolo che al francese e noi pensammo fosse occitano. Il nostro discorso concitato, ad un certo punto passò alla tomba di Saunière, al suo odioso spostamento che aveva prevaricato le ultime volontà del reverendo e l’allontanamento dall’amata Marie. Il discorso attirò di nuovo l’attenzione del nostro vicino. “Eh, bien...” disse con una voce greve, " il a eu l'épreuve, finalement." "Quale prova…., Chi?” chiedemmo incuriositi. Avvicinò la sedia al nostro tavolo e prima di ricominciare a parlare ci osservò attentamente ad uno ad uno. Poi riprese il discorso, evidentemente avevamo superato una sorta di test. “Qualcuno ha fatto in modo che quello spostamento avvenisse, una volta deciso, nel più breve tempo possibile – disse in quella strana lingua che faticavamo a comprendere e che ci traducevamo a turno ad alta voce, seguendo l’intuizione del momento e aiutati dai suoi cenni d’approvazione – da tempo si aveva il sospetto che la tomba celasse un segreto ed alcune persone “dovevano” assolutamente sincerarsene.” “La storia del tesoro di Rennes?” “No, - rispose dopo una leggera esitazione - un segreto più importante che riguarda le persone, …il potere.” Ci scambiammo un rapido sguardo, non era la prima volta che incontravamo strani personaggi e strane teorie su Rennes, ma una nuova storia al riverbero delle fiamme del camino, era decisamente piacevole, qualsiasi cosa saltasse fuori. “L’esumazione è avvenuta, -sapete? - alle sette del mattino…” disse quasi sottovoce “e non sono stati ammessi che pochi, pochissimi addetti. Lo stretto necessario… e tutti iscritti nel libro paga della persona che ne ha ordinato la profanazione, perché di profanazione si è trattato!” Il tono della voce si era improvvisamente alterato attirando l’attenzione degli altri avventori, ma subito si calmò e dopo un bicchiere di vino rosso del Russillon levato a mo’ di brindisi, riprese il racconto. “Avrei voluto vedere la sorpresa negli occhi dei presenti quando scoprirono che la tomba era vuota, lo sbigottimento di quell’istante! Una persona sola non ne rimase sorpresa, quella che con gelida compostezza ordinò il silenzio a tutti su quanto successo dichiarando che i profanatori degli anni ’60 avevano compiuto l’efferato gesto, ma che dell’episodio, per rispetto ai parenti, non ne avrebbero dovuto parlare. Mai! …A nessuno! …Bondieu, quel messorguièr (1)!” Si fermò un attimo. Parve radunare i pensieri. “Mai nessuno aveva profanato la tomba prima di Lui. L’efferato gesto lo aveva compiuto Lui! Lui e tutti i suoi adepti, che siano maledetti!". Gridò battendo la mano sul tavolo. L’oste ci guardò scuotendo la testa, probabilmente pensò che il vecchio aveva bevuto troppo e ci stava chiedendo scusa. Lo tranquillizzammo con un gesto della mano. Ritornò il silenzio. “Ora sarà tutto più difficile” disse dopo qualche minuto in cui nessuno aveva osato aprire bocca. “Ora sanno che qualcuno ha di nuovo il potere delle parole e delle pietre… ricominceranno a cercare…”. “Cercare cosa?” osammo chiedere un po’ intimoriti da quegli scatti d’ira, timorosi di scatenarne un altro. “Le Grand Heretatge (2), non? Mais…" Nemo accipit qui non legitime certaverit ". (3) Le poder c’est un animal qui ne peut pas se dondar (4). Jamai ! Solo chi ha compiuto il Cammino di San Giacomo fino in fondo ne ha la forza. Non ci si appropria di ciò che non si sa dominare, sarebbe la fine! Maintenant… ara il es tot mai avèrs, malastrosament(5 )...” e si alzò come se improvvisamente si fosse ricordato qualcosa d’improcrastinabile in un altro luogo. Lo seguimmo con lo sguardo dalla finestra dell’osteria. La sera lambiva con grosse nubi la strada verso il Pont du Diable dove, in pochi passi, il vecchio sparì dalla nostra vista. Sul tavolo aveva lasciato una banconota per pagare il suo pasto. Vecchi franchi del 1916……
                                                        
                                                                      ....E cric e crac, mon conte es acabat!
Note
  1. Bugiardo.
  2. Eredità.
  3. Nessuno la riceve se non ha combattuto secondo le regole.
  4. Domare.
  5. Ora è tutto più difficile, disgraziatamente.

lunedì 2 giugno 2008

Roseline-Rosslyn: una ricerca... (Nine Million Bicycles)


Marzo. Con più di un’ora di ritardo, dovuto alla pista ghiacciata di Amsterdam, raggiungo Edimburgo. Dopo una doverosa visita alla Sacra Pietra di Scoone nel castello, lascio alle mie spalle le possenti mura della fortezza che chiude con un tonfo sordo, le due grosse porte dell’entrata. E’ già pomeriggio inoltrato, il freddo tramonto del sole sul 56° parallelo, regala al profilo nero del castello di Edimburgo, seminascosto tra i rami ancora spogli sulla collina che lo ospita, un’immagine inquietante. Chiudo con la mano il collo del piumino, calda difesa all’aria gelida che s’insinua con prepotente forza tra gli abiti. Scendo lungo la Royal Mile la strada principale lunga, appunto, un miglio, che porta all’Holyrood la residenza reale, facendo molta attenzione ai tratti ancora ghiacciati. Mentre mi accorgo, costernata, che qualche ragazza del luogo indossa graziosi sandaletti infradito come se fossimo già in piena estate, io perdo la sensibilità della punta del naso circa a metà percorso. La prossima tappa è la National Library. Tra i documenti custoditi c’è la trascrizione in bella calligrafia nel volume intitolato ‘Miscellania (sic) Scotica Curiosa’ di un’antica lettera di Maria di Guisa, madre di Maria Stuarda, indirizzata a Lord Sinclair signore di Roslin. Il luogo in cui entro per visionare il documento è molto più simile al caveau di una banca che alla sala lettura di una biblioteca. Le pagine scorrono tra le mani esperte di due attenti ma cortesissimi responsabili di quest’istituto fino a raggiungere il punto esatto in cui è riportata la lettera, infine questo meraviglioso libro è tutto per me. La traduzione non è facile, e si porta via un po’ di tempo… . “(...) in Likwis that we sall be leill and true maistres to him, his counsell and Secret shewen to us we sall keip secret. (...)” Ovvero: “Likewise that we shall be loyal and a true Mistress to him, his Council and the Secret shown to us, which we shall keep secret.” . Sostanzialmente Maria Stewart in questo scritto, giura di proteggere e, se il caso, mantenere economicamente Lord Sinclair e i suoi protetti fino alla fine dei suoi giorni, in ringraziamento per averLe rivelato il Segreto. Che cosa sapeva di tanto importante Lord Sinclair da giustificare il capovolgimento dei ruoli (la regina che giura fedeltà ad un suddito) a cui si assiste nella lettera? Oltre a tutto, non viene mai nominata la cappella di Rosslin costruita ‘appena’ cento anni prima o il suo castello e allora diventa davvero difficile capire a cosa si riferisca la principessa francese quando parla di ‘segreto’. L’anno è il 1546, più precisamente il 3 di giugno, la figlia Maria Stuarda di appena quattro anni, promessa sposa a Francesco II di Valois, è partita proprio quell’anno per la corte cattolica, frivola e…’velenosa’ di Caterina de’Medici. Sul suolo scozzese rimane la madre, cattolica come la sua famiglia: i Guisa, cattolica come i Sinclair di Rosslin. In un paese in cui la riforma protestante si stava diffondendo rapidamente, il segreto potrebbe riguardare qualcosa di strettamente legato alla loro religione? O alla stirpe dei Guisa? L’enigma, dopo secoli, resta purtroppo tale. Esco dalla libreria quando oramai il buio ha abbracciato la baia del Firth of Forth, accendendola di mille luci specchiate sull’acqua. L’aria, seppur gelida, porta l’inconfondibile profumo del mare. Dalla radio dell’auto con il riscaldamento a manetta, si diffonde inattesa una vecchia canzone dei C.C.R.: “Somedays never come” anno 1976, un salto indietro nel tempo... Poi, immancabile, un’antica aria scozzese con la cornamusa: ancora più indietro nel tempo… Nel buio totale della campagna del Lothian, la grossa macchina scura presa a noleggio sembra ora un’infernale macchina del tempo che tra poco mi catapulterà addirittura nella metà del 1400, periodo che vide la nascita della cappella di Rosslyn su ordine del conte William St. Clair.


domenica 1 giugno 2008

Rosslyn (Someday Never Comes)

In pochi minuti raggiungo Rosslyn a una dozzina di chilometri a Sud di Edimburgo. Dalla finestra della camera calda e accogliente si vedono gli alberi che poco lontano nascondono la misteriosa cappella. Sono veramente stanca e scivolo in un sonno profondo che non lascia il ricordo di alcun sogno. Il grande piumone bianco che mi avvolge sta diventando sempre più soffocante. Uno sguardo all’orologio: le 4,23… manca ancora qualche ora all’alba. Mi giro e mi rigiro: credo di aver perso completamente il sonno. Sul tavolino vicino alla finestra so di trovare il bollitore e alcune bustine di tè. Decido per un profumato Earl Grey, sarebbe d’altronde impossibile riprendere sonno. Le tende sono scostate, il profilo delle Pentland si intravede in quello che sembra un principio di luce la in fondo. La tazza in cui cerco di stemperare l’impazienza emana calore e profumo di bergamotto. So che la Cappella è là, a pochi metri dalla mia finestra, seminascosta dagli alberi spogli del viottolo che ne nascondono il profilo dietro una piccola curva. La luce ora mi sembra un bagliore circoscritto…. forse la Cappella di notte è illuminata e io credo di non resistere oltre al suo richiamo. Decido di vestirmi ed andare a darle un’occhiata. Fuori fa un gran freddo, è nevicato da poco e la bassa temperatura ha ghiacciato lo strato di neve che si era posato sulla strada. Cammino lentamente cercando di non scivolare sul lievissimo pendio nel silenzio totale. La luce non c’è più, forse mi sono sbagliata. “E’ certo -penso tra me e me- che se fosse ancora illuminata la vedrei anche da qui.” ma in questo momento si vede solo un lievissimo accenno d’alba in fondo al viottolo a Est. Eppure poco fa ne ero quasi certa: c’era una luce quaggiù. Forse le lampade si sono appena spente. La Cappella è circondata da una cinta che ne impedisce la vista dalla strada. Accipicchia, così non si vede altro che quel tetto di lamiera che mi ricorda i fienili della bassa Padania. Nel buio, ancora signore di questa notte quasi agli sgoccioli, l’ultimo quarto di luna non basta a rischiarare per bene quello che volevo vedere, ma il castello dei Sinclair (o meglio quello che ne resta) è a due passi da qui e non c’è nessun impedimento fino alle sue mura. Merita una visita in questa atmosfera surreale. Oddio, nessun impedimento….. veramente uno c’è. E’ che devi passare di fianco a un cimitero e se di giorno non mi fanno nessuna impressione, di notte, chissà perché, mi mettono una leggera ansia… Il mio passo impercettibilmente comincia ad affrettarsi… “Fifona!” penso… Mi rispondo anche da sola, dando il via a un battibecco con il mio alter-ego che ha la capacità di indispettirmi come ogni volta che capita. “Ma fatti i ca**i tuoi!!” “è solo che ho voglia di arrivare prima che questo incantesimo si spezzi con la luce del sole”. “See, see… però rallenta, se scivoli prima che ti ritrovino può passare qualche ora….” “Ok, hai ragione”. “Ti ricordi quella leggenda del cane dagli occhi di brace??” “mmm… quello che difende il tesoro di Oak Island?” “Sì, quello” “perché ci pensi proprio ora, pirlona??” “no, così… Gli inglesi la raccontano spesso, ti ricordi il mastino dei Baskerville? Forse su quest’isola è un mostro comune….” “Ma allora sei bastarda dentro! Perché non pensi anche a Cujo, a Jack lo squartatore e a Mr. Hide, visto che ci sei? Ma cos’è il bergamotto che ti stimola così la fantasia bacata? Cristosanto manca così poco alla fine del cimitero, se mi viene paura dovrò ripercorrerlo tutto all’indietro… e di corsa… e se cado io cadi anche tu!!!. Forza che si vede già il ponte e quel che resta della torre.” . Di giorno le pietre rosa di questa fortezza sono un sogno: al tramonto cambiano tonalità in un caleidoscopio di rossi e di rosa, ora sono solo nere. Non c’è più la torre dove William Sinclair nascondeva i grandi bauli con i misteriosi manoscritti. Si dice che durante un incendio il signore del castello corse alla torre ignorando dame e servitori intrappolati dalle fiamme, ansioso solo di mettere in salvo questi scritti. Cosa celavano di così importante? Saranno tutt’ora custoditi nella cripta della Cappella di Rosslyn? A proposito: ma… di nuovo c’è quella luce in direzione della Cappella. Non è luce, sono bagliori. Come un’alba boreale, come un incendio… poi di nuovo il buio. Ritorno verso l’albergo mentre l’alba oramai illumina il sentiero sterrato, portandosi via eventuali “cani dagli occhi di brace”. Mi farò un’altra tazza di tè mentre aspetto che il giorno si faccia largo nel Lothian. Vicino al camino c’è un vecchio giornale che serve probabilmente per accendere il fuoco. “…In 1998 Scottish tourist, A. Sinclair, died under mysterious circumstances whilst in the lockup at Ben Gurion airport in Israel. The Israeli authorities said that he had committed suicide by hanging himself. His body was returned to Scotland missing parts and his family were forced to sue in order to recover them...” « ??????? Cosa diceva l’antica leggenda?» «Ma non te ne eri andata?» penso irritata. La mia vocina continua imperterrita: « ....La leggenda racconta che ogni volta che un discendente del principe delle Orcadi muore, la cappella appare avvolta dalle fiamme. Forse anche oggi da qualche parte nel mondo è morto un Sinclair. In fondo siamo in Scozia e questa storia poteva finire solo con i fantasmi!!! »

venerdì 29 febbraio 2008

Vergine incinta di Cucugnan (Il sogno di Maria)


Rennes le Château di solito si presenta fiorita e profumata all'incontro con chi approfitta del bel ponte del 2 giugno per visitarla. Io questa volta vi consiglio, se ne avete il tempo, di spingervi ancora qualche chilometro a sud per trovare all'ombra della fortezza di Queribus ed adagiato tra i vigneti delle Corbières, il villaggio di Cucugnan. Reso famoso da Daudet che ne immortala il curato Ruffie in un racconto tra le pagine della sua opera: "Lettere dal mio mulino", Cucugnan cela un piccolo gioiello che merita, secondo me, una sosta: una piccola, rara statua, che raffigura la Madonna incinta. Potete lasciare la macchina nei pressi del mulino d'Omer che torreggia all'inizio del paese e dopo pochi passi troverete la piccola chiesetta, interamente ricostruita nel 1860 ma sorta sopra un antico edificio carolingio, dedicata a Saint Julien et Sainte Basilisse. La chiesa ospita un'interessante quanto inusuale mostra fotografica permanente dedicata alle "Vierges enceintes" ovvero le Madonne incinte. Bandite dal concilio di Trento tenutosi verso la metà del 1500, che proibiva l'esposizione nelle chiese di immagini "inconsuete", le vergini incinte vennero quasi totalmente distrutte tant'è vero che ne rimangono pochissimi esemplari; in Francia se ne contano circa una dozzina. Madonne dallo sguardo greve, Madonne coricate, una tutta scura e matronale sembra rappresentare ancora una volta il culto alla madre terra… niente a che fare con la statua in legno policromo della fine del XVII secolo che dimora stabilmente a Cucugnan. Questa donna, anzi, una fanciulla, delicata e fragile è alle prese con una familiare rotondità che infonde, nello sguardo dei visitatori, un'indicibile tenerezza. Impossibile non rimanere affascinati dalla solarità che emana questa statua, dalla dolcezza che traspare dai suoi occhi, dalla felicità che denunciano le labbra delicate e piegate all'insù. I suoi piedi poggiano su di una falce di luna simbolo di fertilità e ancestrale legame con Iside, dea, sposa e madre. Ma quei capelli sciolti senza il velo, quelle guance tonde e quel vestito dorato a me hanno fatto improvvisamente sorridere. "E sì, - mi sono detta- mi ricorda qualcosa, una figura quasi identica ma senza sorriso, inginocchiata sotto l'altare di Rennes le Château: la Maddalena di Saunière.


giovedì 28 febbraio 2008

Segnali (Country Road)

Ci sono dei momenti in cui ti sembra di non poter fare a meno di partire. Arrivano dei segnali inequivocabili che sembrano chiamarti irresistibilmente verso un luogo.

Così, se accanto alla vostra trovate una macchina con questa targa, voi che fareste?



mercoledì 27 febbraio 2008

Innamorata dell'Aude (Somewhere Over the Rainbow)


Quando vedo il profilo dei Pirenei, che circondano come un diadema la collina della cittadella di Rennes-le-Château, mi sento finalmente a casa… Respiro l’aria frizzante che odora sempre un po’ di legna bruciata, socchiudo gli occhi mentre mi godo il tramonto dal belvedere e non importa se c’è il sole o se ci sono nuvoloni minacciosi: io sto sempre bene qui.
C’è quasi sempre vento e se ti lasci andare hai l’impressione che qualcuno ti abbracci e ti dondoli coccolandoti.
Mi piace appoggiarmi alla Torre Magdala, guardarla da sotto in su, lasciarmi affascinare dal suo mistero. Mi piace passeggiare vicino alla cancellata del giardino di Saunière, sbirciare tra le sbarre che difendono il giardino, camminare tra le stradine strette quando non c’è nessuno.
In chiesa mi siedo sempre sulla pedana di fronte ad Asmodeo (…ma quante foto gli ho fatto?) poi mi guardo in giro, ogni volta mi sembra di scorgere un nuovo dettaglio che accompagnerà una nuova cerca tra i boschi di queste colline. All’esterno della chiesa, tra le aiuole, ci trovi sempre qualche gatto affettuoso che ti ruba qualche carezza e poi se ne va via, quando già credevi di essertelo fatto amico.
Il mio preferito si chiama Caramel ed è rosso come la terra di queste montagne. Se hai la fortuna di godere di una notte stellata, qui ti sembra di avere il cielo più grande. Non puoi fare a meno di sdraiarti per terra e farti rapire dall’eternità. Ecco le due orse che si fronteggiano nel firmamento: come in cielo così in terra… anche qui sotto i due carri da sempre si fanno compagnia.
Rhedae, il nome antico delle due Rennes forse significa carro. Tra loro la costellazione del Draco, il serpente… non pensate anche voi al Serpent Rouge?
E Callisto, trasformata nell’orsa maggiore, non è sua la tomba vuota dell’Arcadia?
E’ a lei che fa riferimento Poussin quando ritrae quella che sembra la tomba di Les Pontils?
E suo figlio Artus è il nostro Artù della cerca del Graal?
E come è davvero il Graal? Sarà la mia pietra che si illumina o la coppa dei più romantici?
Se non stai attento rischi di passare tutta la notte con la testa persa tra le nuvole e i miti, le certezze e i dubbi...
Ora ne sono certa: sono entrata nel sentiero della Cerca.