mercoledì 17 ottobre 2012

Incontri con la natura - prima serata-

L’uomo consuma le erbe da tempo immemorabile: dall’alba della sua esistenza. Si avvicina ad esse principalmente come fonte di cibo e scopre poi, con l’esperienza, che alcune oltre ad essere edibili possono essere benefiche (digestive, depurative, antisettiche ecc.), pericolose (soporifere, allucinogene ecc) o addirittura mortali. Ricordiamoci quindi che con le erbe, ora come allora, non si può scherzare; impariamo a conoscerle bene o affidiamoci a mani esperte.
Il loro uso si diffonde prima attraverso la tradizione orale e, in seguito - come abbiamo visto nel precedente incontro -, con gli Erbari, ovvero libri che illustrano e descrivono le piante e le loro virtù.
Per il principio che dovessero essere indipendenti nell’interno della loro cittadella claustrale e il fatto che al loro interno si traducessero e si copiassero anche i più famosi trattati medici ed erboristi, nei monasteri si sviluppò la conoscenza dell’utilizzo terapeutico delle piante e, come per tutto il resto, ci si serviva principalmente di ciò che cresceva nei dintorni delle abbazie. Fortunatamente le latitudini medie del continente europeo, consentivano una vastissima varietà di prodotti naturali.
I monaci all’arrivo nei luoghi di edificazione delle nuove abbazie, si servivano dunque con abbondanza dei prodotti dei boschi che li circondavano per approvvigionarsi delle loro piante officinali, ma, con l’avanzare dei lavori di edificazione, predisponevano sempre uno spazio apposito per la coltivazione dei Semplici all’interno delle mura della cittadella abbaziale.
Semplici è un termine antico per definire proprio le erbe medicinali. Significa medicina “simplex” ovvero medicina/rimedio ‘unico’, si usa cioè, un solo componente, un’erba.
Si chiameranno Compositi, invece, quelli ottenuti miscelando e trattando diverse sostanze. Il più famoso, usato per quasi 18 secoli e prodotto fino al 1906 a Napoli, si chiamava Triaca o Theriaca (dal greco Therion – vipera - che era anche un componente essenziale della miscela, tanto da portare sull’orlo dell’estinzione le vipere dei Colli Euganei, visto che il luogo in cui era più commercializzata era Venezia) e poteva contenere fino a 74 componenti; una sorta di Panacea per tutti i mali, derivata dal più famoso elettuario di Mitridate.
Durante il Medioevo, con l’intensificarsi dei pellegrinaggi verso i luoghi santi lungo le principali direttrici che erano Roma, Gerusalemme e Santiago de Compostela, si ebbe un grande sviluppo di luoghi riservati all’assistenza e al ricovero dei pellegrini proprio presso i monasteri disseminati lungo queste strade, molti dei quali si attrezzarono per accogliere anche stabilmente i malati cronici e terminali come gli appestati e i lebbrosi.
Abbiamo visto nello scorso incontro che San Gallo, famoso monastero benedettino Svizzero, vantava un vasto giardino di erbe mediche, ma già intorno all’800 includeva nel suo complesso camere per malati, una fornita farmacia e un alloggio riservato ai medici. Probabilmente il primo esempio di ospedale moderno nell’Europa Occidentale.
Anche qui a Morimondo c’era dunque un Hortus sanitatis- ovvero l’orto dei semplici- dove si coltivavano le piante medicinali compatibilmente con le condizioni ambientali del luogo.
La loro raccolta si effettuava, oltre che in armonia con il ciclo delle stagioni cogliendo fiori, foglie, bacche e radici nel momento del loro Periodo Balsamico (ovvero quando donano il loro migliore principio vitale), anche seguendo le ore del giorno (le piante che dovevano essere essiccate non le si raccoglieva piene di rugiada perché rischiavano di marcire o, al contrario altre ne dovevano necessariamente inglobare l’energia), il ciclo lunare e la posizione dei pianeti che potevano presentarsi favorevoli o sfavorevoli.
Pratica comune nella scelta delle piante era dettata anche dalla Teoria della Segnatura o Similitudine.
Si pensava, infatti, che le piante esibissero agli occhi di chi le osservava somiglianze esplicite con la malattia che potevano curare. Poteva essere la segnatura del colore: la calendula (gialla) era usata per l’itterizia, l’iris (blu) per le contusioni e, in generale, quelle rosse erano antiemorragiche, come il famoso Sangue di drago.
L’Eufrasia, con i bei colori dell’Iride è uno straordinario rimedio per le affezioni degli occhi contenuta ancora oggi nei moderni colliri e possiamo immaginare che fosse particolarmente usata nelle congiuntiviti e blefariti che potevano affliggere i monaci copisti.
Oppure poteva essere la Segnatura della forma: i frutti della Portulaca erano simili alle reni e usati per le affezioni di quest’organo; la noce per la testa e il cervello; il sedano e il rabarbaro per le ossa e via di questo passo.
Una volta raccolte con cura, l’essiccazione delle erbe avveniva in appositi locali arieggiati e ombreggiati, in genere appese in grossi mazzi su di un apposito filo teso e, in seguito, conservate in un recipiente che non lasciasse filtrare aria o luce e poi stipate nell’armarium pigmentariorum, che permetteva la conservazione in un ambiente ottimale. Tutto ciò sotto la direzione del monachus infirmarius, un monaco con specifiche funzioni sanitarie apprese sia dai libri che dall’esperienza, che aveva l’incarico di curare i malati sia che fossero gli stessi monaci, sia i mendicanti o i pellegrini che si trovavano a passare dal monastero. Questo monaco poteva anche uscire dalle mura di clausura del monastero per curare gli ammalati che si trovavano nelle immediate vicinanze. Nelle cronache di Morimondo è ricordata la figura di un monaco che, durante una delle numerose epidemie di peste che decimarono l’Europa, recandosi a dare conforto agli ammalati del circondario spesso abbandonati dalle proprie famiglie finì con l’esserne contagiato lui stesso. La sua missione lo portò a prodigare incessantemente queste cure fino all’ultimo, quando la morte lo colse sulla strada del ritorno verso il monastero.
Infine, quando decotti, impiastri, tisane e infusioni - quindi rimedi molto elementari - si incontreranno con la cultura araba, attraverso distillatori, fornelli, alambicchi, crogioli, mortai e bilance vedrà la luce la figura dello Speziale, l’antenato dei nostri moderni farmacisti.
Il primo dei nostri incontri si occuperà delle erbe fornite dalla natura qui intorno preservata entro i confini del Parco del Ticino e dedicato in particolare alla rosa, emblema universale d’amore da sempre sacro alle divinità femminili come Ishtar, Iside, Afrodite e Venere. Il colore bianco dei suoi petali simboleggia nel mondo cristiano la purezza di Maria, nel santissimo nome della quale sono state erette tutte le abbazie cistercensi, compresa quella che ci accoglie stasera nella spettacolare cornice della Sala Capitolare.

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