venerdì 26 settembre 2008

L'Hotel de France (J'ai deux amours)


Ci sono luoghi che esercitano un fascino inspiegabile per la nostra mente, condizionato probabilmente da quello che Konrad Lorenz non avrebbe esitato a paragonare ad un elementare Imprintig. Mi spiego solo così l’attrazione morbosa che provo per il vecchio albergo in cui passo i miei soggiorni a Rennes les Bains. Anni fa, dopo alcuni rifiuti dagli alberghi più gettonati della zona, quando oramai la notte si approssimava ed eravamo stanchi, infreddoliti e affamati, Madame Russellot ci accolse senza chiederci né da dove venivamo, né se avevamo una prenotazione, con un sorriso che, avrei scoperto in seguito, non l'abbandona mai. L’albergo è, in verità, davvero obsoleto, le scale di legno scricchiolano, i corridoi hanno un vago sentore di kerosene incombusto, la biancheria non è ricercata (ma pulita), le chiavi sulle porte sono spesso un optional perché davvero regna una fiducia totale, ma entrare lì dentro equivale a fare un salto temporale. Gli arredi e gli oggetti rivelano un passato che non esito a definire fastoso. Le sedie, le poltroncine e i divanetti in legno, sono Thonet originali che da soli valgono una fortuna ed è facile trovare qua e là graziosi orologi tipo Parigina in vari materiali che farebbero impazzire gli appassionati. La cucina non lascia spazio all’etnico, tanto di moda, e minestre e patè vari nonché l’immancabile Camembert, vengono serviti su enormi vassoi in argento antico (o meglio, proprio ‘vecchio’) o in grandi zuppiere di porcellana sbeccata; spesso chi mi accompagna storce il naso. Lo so che la maggior parte di noi è attratta dal rassicurante arredamento global Ikea che imperversa anche qui, dalle candeline accese dentro i Galej, e dal piumone Blasippa che fanno tanto trendy, ma io adoro gettarmi in questo angolo di Francia incontaminato, dormire sui vecchi letti con materassi ad elastici come quelli della nonna, soffocare sotto una pesantissima trapunta di lana, scarabocchiare su questi scrittoi che in un tempo devono aver visto centinaia di teste piegate diligentemente a scrivere cartoline e lettere ai parenti rimasti a casa, aprire le ante scricchiolanti degli armadi e riporre la biancheria nei cassettoni ricoperti sul fondo da fogli di candida carta bianca. Forse rincorro un passato che ho solo assaggiato e di cui ho un ricordo struggente, ma più semplicemente voglio sentirmi in un altro luogo che non somigli per nulla a quello stereotipato a cui siamo abituati. Per questo a volte più la camera è ‘vecchia’ più mi piace: sembra di essere finiti nel bel mezzo di un’indagine di Maigret in pieni anni ’50…