sabato 4 aprile 2009

La Montagna rovesciata. (Yanni.Nightingale. )

Avevo sempre evitato d’incontrarlo ma il caso aveva fatto in modo che l’unico ristorante aperto a quell’ora tarda fosse proprio di fianco alla sua dimora al limite del villaggio e così lo vidi per la prima volta. Ergendosi in tutta la sua magnificenza nel cielo autunnale, si presentava come un incombente gigante nero e minaccioso. Di lui avevo sentito parlare spesso in toni tutt’altro che lusinghieri: pericoloso, stregato, infido; lo si accusava di ospitare di nascosto individui poco raccomandabili e di stravolgere con i suoi poteri le normali leggi fisiche. Un tipo losco, insomma.
Infradiciati da una lunga giornata piovosa, avevamo entrambi un aspetto orribile ma lui emanava anche un leggero odore di muffa, di marcio, di putrescente. Ogni volta che alzavo lo sguardo su di lui oltre a sentire un gelido brivido lungo la schiena mi aspettavo di scorgere da un momento all’altro il riflesso di due luciferini occhi verdi, ma, fortunatamente, non mi degnò della minima attenzione. Io, al contrario, dalla finestra dell’Oustal continuavo a guardare la sua cima navigare immota per tutta la sera, fendendo instancabile la schiuma grigia delle nuvole; sembrava una nave per l’inferno e l’ultima cosa che desideravo era incontrarlo di nuovo così da vicino.
La primavera seguente, alla fine della strada che uscendo dalle Gorges de Galamus conduce a Rennes-les-Bains, apparve di nuovo, quasi all’improvviso. Questa volta era di una bellezza così straordinaria che, pur sfrondandolo di tutti gli aggettivi diabolici che gli avevo attribuito, lo faceva somigliare a un incantesimo. Forse per farsi perdonare l’aspetto grezzo e cupo del primo appuntamento, aveva indossato un fresco abito dalle infinite sfumature di verde. La testa alta nel cielo blu illuminata dalla sfacciata luce primaverile, si rivelava completamente nuda ma, come per molti altri, questo non faceva che accrescere il suo fascino. Invece di un discreto fiore all'occhiello si era riempito di vistosi cespugli di ginestre gialle e si sentiva chiaramente che aveva esagerato anche con il profumo.
Restò una presenza costante durante le escursioni apparendo improvvisamente dietro una curva della strada o sostando paziente per ore a lato del panorama, fungendo da familiare punto di riferimento. Per attirare l’attenzione a volte ricorreva anche a piccoli sotterfugi: ora mandando un enigmatico bagliore dalle rocce, ora appoggiandosi sulle ventitré una vistosa curva dell’arcobaleno, ora nascondendosi completamente dietro la spessa nebbia del mattino sottolineando, con la sua assenza, l’imperfezione del panorama.
L’ultima volta si è addirittura infilato il famosissimo cappello.
Jules Verne l’aveva sorprendentemente immortalato tra le pagine del Clovis Dardentor: « Sotto il comando del Capitano Bugarach, niente da temere. Il vento favorevole lui lo tiene chiuso nel cappello e non ha da fare altro che scoprirsi per avere vento al giardinetto.! ». Ti viene da chiederti se per caso tutto quel vento sul belvedere di Rennes-leChâteau provenga da lì sotto.
Non puoi confonderlo con una nuvola normale, appare di una consistenza e di un colore particolare e ne scorgi chiaramente la tesa ben calata sulla fronte. Il Bugarach lo indossa, del resto, con la stessa eleganza con cui Humprey Bogart indossava il suo Borsalino.

E’ altresì uno dei segnali che sconsigliano l’arrampicata in vetta. La leggenda più radicata racconta che il cappello nasconda in realtà la presenza tutt’altro che infrequente di O.V.N.I. (Oggetti Volanti Non Identificati).
Se sulla cima dunque, ferve probabilmente un’insolita attività extraterrestre che vi impedisce di raggiungerla, il Bugarach può condurvi ugualmente verso un luogo speciale vicino alle pendici: le Cascades des Mathieux dove pulsa la sua arteria cristallina.
Dall’alto della roccia, l’acqua si tuffa elegante nel laghetto sottostante per proseguire, sinuosa come Melusina, verso l’approssimarsi di altri salti più impegnativi a valle. Non si ha difficoltà a credere che qui si possano rinfrescare abitualmente Bug ed Arach i famosi Lutins, i folletti della zona.
E’ un mondo incantato che sarebbe piaciuto anche alla piccola Alice: “Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe come è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa; ciò che è non sarebbe e ciò che non è sarebbe…” perché il Bugarach ha tutte le carte in regola per esserlo, è, infatti, chiamato anche ‘La montagna inversa’. Per un singolare fenomeno del movimento della placca terrestre verificatosi nell’era terziaria e dovuta a un’insolita sovrapposizione delle rocce, quello che dovrebbe trovarsi in cima, Marna ed Arenaria, si trovano alla base e il Calcare Giurassico svetta singolarmente sulla cima. Si racconta che questo inverta i poli magnetici creando tutta una serie di leggende simili a quelle del triangolo delle Bermuda. Lui, sornione, non nega né conferma, ben intenzionato a tenersi stretto il segreto, confondendo anzi l’interlocutore con piccole illusioni degne del miglior prestigiatore. Riattraversando la Blanque, che simbolicamente apre e chiude questo corridoio, non si può fare a meno di ringraziare di cuore questo ospite straordinario e accettare l’invito verso nuovi sentieri e altri luoghi più arditi, anche se, a dire il vero, allontanandomi vi posso assicurare che ho sentito ancora un piccolo brivido correre lungo la schiena.

Itinerario.
Per raggiungere la vetta del Bugarach vi sono due vie. La prima si trova all’uscita del villaggio omonimo sul “Sentiero Cataro”. Costeggiando il piccolo lago e guadando la Blanque, conduce agevolmente alle Cascades des Matieux ben segnalate da un cartello. Proseguendo permette di raggiungere la cima attraverso la via detta ‘della finestra’ (Par la fenêtre), così chiamata perché sul suo percorso s’incontra un’apertura naturale nella roccia. Dopo questo punto la salita presenta qualche piccola difficoltà perché il terreno è molto roccioso e in alcuni punti bisogna ‘arrampicarsi’ aiutati dalle mani. Niente di estremo ma, per chi ha per esempio bambini al seguito o è proprio inesperto, meglio affrontare l’altro percorso.
L’altra via parte da Col du Linas, raggiungibile in auto sulla D14 pochi chilometri dopo il villaggio di Bugarach e raggiunge la vetta in modo più agevole in meno di un paio d’ore. Tutto il percorso disegna un grande anello che permette di salire e scendere per la stessa via o di completarlo percorrendole entrambe.
Esiste in realtà anche un altro itinerario abbastanza impegnativo detto ‘Par les crêtes’ cioè per le creste, riservata agli escursionisti esperti e abituati alla montagna. Parte a circa 800 metri dal villaggio La Bastide e completa il ritorno in tre vie: sia sulle due piste già descritte sopra, sia tornando alla La Bastide attraverso le rovine dell’ovile di La Couillade che, come ci racconta Boudet nel ‘Libro di Axat’ è un termine Linguadociano che significa Piccolo colle o anche Stretto Passaggio.