sabato 30 ottobre 2010

JEU DE L'OIE JEU DE LOI (M.Ravel Ravel - Ma mère l'oye)

Si stenta a credere che un gioco dalle regole così semplici, oseremmo dire banali, privo di ogni qualsivoglia strategia di gioco e basato essenzialmente sulla casualità e la fortuna, possa aver attraversato trionfalmente secoli di storia. Ma forse la grande qualità del Gioco dell’Oca è proprio questa: non richiedere alcuna riflessione, né calcolo, né arguzia, permettendo a chiunque si sfidi un duello ad armi pari.
Una tradizione vuole che il gioco sia stato concepito, insieme ad altri passatempi divenuti famosi, dall’eclettico condottiero Palamede durante il lungo e a volte tedioso assedio sotto le mura di Troia; altri vogliono collocare la sua invenzione verso la metà del ‘500 alla corte di Francesco I De Medici. Lo sfortunato granduca di Toscana importante mecenate e appassionato di alchimia (che forse ai più è noto principalmente per la misteriosa morte dettata dagli intrighi di palazzo, oggetto di studi recentissimi), lo avrebbe poi inviato in dono alla reggia spagnola di Filippo II dove, con il nome “ Nobile gioco rinnovato dei Greci”, dilagò velocemente in tutta Europa, rispecchiando il ritrovato gusto di quest’epoca per l’ellenismo. E’ ufficialmente menzionato per la prima volta a Londra nel 1527 ma è di nuovo in Italia, giusto nella metà del 1600, che ritrova grande accoglienza e fama e dove a Venezia, per opera di Carlo Coriolani, viene pubblicato il primo tabellone di gioco a noi pervenuto con il titolo di “Il dilettevole gioco di Loca”.
Le innumerevoli varianti cui saranno sottoposte in seguito le figure delle caselle che andranno dalla politica alla pubblicità, dalla gastronomia alla storia, in un vortice di popolarità che non accenna a diminuire neppure ai nostri giorni, non riusciranno però a stingere il fascino misterioso che trasmette l’originale spirale di 63 caselle, le familiari figure delle oche e i suoi antichi simboli nonché, ad un’attenta lettura, la mistica numerologia che la pervade.

Il gioco, costituito da un tabellone formato da una spirale sinistrorsa che prevede appunto 63 caselle, consiste nel varcare per primi la soglia del Giardino dell’oca, giardino che costituirebbe la sessantaquattresima casella. Esattamente quante ne possiede una comune scacchiera. Muniti di un segnalino, si avanza sul percorso di tante caselle quanti sono i punti corrispondenti alla somma dei due dadi lanciati, ma attenzione, un elementare calembour francese ci suggerisce la vera essenza del gioco: “Jeu de l’oie, Jeu de Loi”: Gioco dell’oca, Gioco della Legge.
Nell’incertezza del nostro futuro destino, impersonato dalla totale casualità del responso numerico ottenuto dal lancio dei due dadi che dettano le nostre mosse e guidano implacabili il nostro cammino, ci dobbiamo infatti attenere a un itinerario dallo schema definito e a precise e ferree regole. Un disegno matematico rigoroso, prestabilito ed ordinato, che noi potremo solo assecondare, guidati dalla buona o cattiva sorte che in quel momento ci spetta sul percorso ricco di insidie ma anche di premi.
I bonus sono donati dalle tredici dinamiche figure dell’oca disseminate sul tabellone che consentono di replicare in volo, sulle loro sacre ali, il punteggio ottenuto con il lancio dei dadi anche se, naturalmente, questa opportunità potrebbe rivelarsi in realtà un handicap, facendoci finire in una delle otto caselle sfavorevoli che prevedono il pagamento di una posta o soste forzate e che sono: il ponte al numero 6, l'osteria al 19, i dadi al 26, il pozzo al 31, il labirinto al 42, la prigione al 52, i dadi al 53, la morte al 58.
Le oche sono disposte secondo lo schema matematico del 5 + 4 ripetuto ossessivamente. Le troviamo infatti presenti nella casella n. 5 la prima; nella 9 (5+4) la seconda; nella 14 (9+5) la terza; nella 18 (14 + 4) la quarta e così via fino alla fine.
Salta subito all’occhio che con un fortunato lancio dei dadi all’inizio con risultato 9, porterebbe il privilegiato giocatore immediatamente alla fine del gioco con la conseguente vincita dei pegni messi in palio senza nessuna competizione. Una regola stabilisce, quindi, che con il nove ottenuto dal lancio dei dadi che formano le cifre 3 e 6, si vada direttamente al 26, mentre se lo si ottiene con 5 e 4 si raggiunga il 53. Nella semplicità delle regole dunque, nulla è lasciato al caso: Jeu de l’oie, Jeu de Loi.
Alla fine del gioco bisognerà ottenere con i dadi un numero tale che consenta di fermarsi esattamente nel giardino dell’Oca, costringendoci, in caso contrario, ad essere condannati a vagare avanti e indietro sulle caselle vicine, rischiando di essere raggiunti e superati dagli altri concorrenti. I frequenti arresti sulle caselle infauste o gli improvvisi slanci dei bonus, frenano le smanie dei giocatori impazienti e spronano i flemmatici, mentre si ha l’impressione di camminare costantemente su immagini altamente simboliche: un lungo elenco di riferimenti astrologici, alchemici, sapienziali, che tanto lo fanno somigliare ad un vero percorso iniziatico e che, attraverso gli ostacoli, ci tempra e ci perfeziona. La possibile prematura fine del gioco alla casella 58, che ospita la morte ed è a pochi passi dalla fine del percorso, è un ulteriore monito alla prudenza proprio in prossimità della nuova vita che ci aspetta piena di delizie nel Giardino dell’oca.

Le origini.
Molto simile, per la tipica struttura a spirale, all’antichissimo gioco rituale del Mehen ovvero il ‘Serpente arrotolato’, comune nell’Egitto delle prime dinastie, potrebbe essere originario di questa terra se consideriamo la specifica devozione degli egizi per l’Oca, animale sacro presente nei loro antichi miti della creazione. Il dio della terra Geb, infatti, marito di Nut dea del cielo e padre di Osiride, Iside, Seth e Nefti, secondo la tradizione fu trasformato in oca e covò un uovo da cui nacque il sole; lo starnazzare dell’oca fu il primo suono cosmico, ancestrale Rhua, verbo creatore.
Ma occorre precisare che l’oca, animale coraggioso e dal sonno leggerissimo, simbolo di vigilanza e di custodia (come racconta l’episodio delle oche del Campidoglio) spesso confusa etimologicamente, graficamente e simbolicamente con il cigno, perfettamente a suo agio nell’acqua, sulla terra e in cielo, messaggero tra i tre regni, era sacro perché ritenuto animale profetico e psicopompo ed è sempre stato un animale tenuto in grande considerazione presso molti popoli in ogni angolo della terra. Onorato in Cina, Giappone e India, dove diventa la cavalcatura di Brahma, era sacro oltre che ai già citati egizi, anche a sumeri, etruschi, finni, germani e romani e perfino ai maya all’alto capo di un oceano ancora tutto da scoprire. I Celti la consideravano messaggera dell’altro mondo e alcune di loro, intoccabili, erano presso i loro santuari, mentre nell’antica Grecia, attraverso la figura di Afrodite Urania trasportata in volo da una grande oca, diventa simbolo dell’amore ideale. Immagine da cui hanno sicuramente attinto i moderni illustratori dei Racconti di Mamma Oca.






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Secondo Eliphas Lévy (La clef de grand Mistères) nel gioco dell’Oca si può leggere una trasposizione dei Tarocchi: in entrambi, infatti, i simboli sono intrinsecamente legati ai numeri. Robert-Jacques Thibaud (Jeu de l’oie) ipotizza un labirinto iniziatico e divinatorio; per Fulcanelli (Demeures Philosophales) infine, è un percorso sapienzale che cela la Grande Opera. Le ipotesi sulla numerologia del gioco, poi, sono innumerevoli. Al 4 e al 5, per esempio, che scandiscono le dimore delle oche, sono associati rispettivamente i simboli della terra e del cielo; all’otto (8 x 8= 64 ovvero le sessantatré caselle più il giardino dell’oca dell’arrivo), si affianca il simbolo dell’infinito e dell’equilibrio cosmico; il perfettissimo 9 caratterizza la forma del gioco e l’intervallo tra le caselle delle Oche; Il tredici, che è il numero totale delle oche presenti sul tabellone, è numero lunare per eccellenza, in quanto sono 13 le lunazioni annuali e così via, in un mulinello di interpretazioni per ogni casella e ogni azione che cela però ben stretto ancora oggi tra le sue volute ipnotiche il vero segreto della sacra spirale.
Dobbiamo ricordare inoltre che il nostro caro pennuto, instancabile camminatore, era simbolo dei viandanti e dei pellegrini esattamente come san Giacomo, forse perché le cronache ci raccontano la loro marcia al fianco dei fedeli verso Gerusalemme durante la prima crociata. Non è forse un caso, dunque, che la zampa d’oca accompagni tutt’ora, discretamente, il viaggio dei pellegrini a Compostela .


Il sentiero Atlantideo.
Molte delle costruzioni lungo il cammino del pellegrinaggio di Santiago di Compostela portano una firma impressa sulle pietre, un marchio di riconoscimento molto particolare, il Pédaque, ovvero: una zampa d’oca. Era la firma degli Enfants de maître Jacques, meglio conosciuti come Jars, il maschio dell’oca e facevano parte di una confraternita, quella dei Compagnos du Devoir, costruttori medievali nati all’epoca dell’edificazione delle grandi cattedrali gotiche.
Oggi la famosa conchiglia di San Giacomo, la Merelle, che si trova stilizzata sui pannelli che indicano il sentiero del pellegrinaggio, sembra sostituire con una chiara sincretizzazione il simbolo che lasciarono un tempo come firma sulle loro costruzioni i Figli di Mastro Giacomo.


Il loro Giacomo secondo alcuni, però, non era l’apostolo il cui corpo adagiato su una barca guidata solo da un angelo approdò miracolosamente su queste coste dopo il martirio, come vuole la tradizione, ma un leggendario tagliatore di pietre pirenaico, discendente degli antichi innalzatori di Megaliti e Dolmen in Europa e chiamato, per la sua fama, da Hiram di Tyr a Gerusalemme per contribuire all’erezione del Tempio di Salomone e per scolpire una delle sue due mitiche colonne: la Jakin (che ne ricorda il nome) e forse anche quella di Boaz.
Da dove veniva la bravura che diede tanta notorietà a questo mitico Maitre Jaques?

Secondo Louis Charpentier, amatissimo e prolifico scrittore esoterico, sul suolo di Francia si troverebbe un enorme gioco dell’oca naturale le cui caselle sarebbero contrassegnate dalla presenza di monumenti megalitici dedicati al dio celtico Lug, eroe solare, signore della luce (come Lucifero), che legherebbe la nostra preistoria all’antico sapere di Atlantide. Sempre secondo Charpentier la straordinaria conoscenza di questo antico e leggendario popolo si potrebbe ancora trovare studiando con attenzione i templi megalitici, le piramidi, i templi greci e, infine, le cattedrali gotiche. Un sapere penetrato in Europa dopo il cataclisma che distrusse il regno atlantideo attraverso Finisterre e la strada del cammino di Compostela, il cammino dell’illuminazione e della conoscenza. Non per niente Lug era il dio dai multipli talenti: fabbro, falegname, mago, suonatore d'arpa, poeta, guerriero, e anche medico. Maestro, dunque, di tutte le arti e i mestieri.
Furono i discendenti di questo popolo ad aver tramandato le straordinarie conoscenze architettoniche a personaggi come Mastro Giacomo? E tra lui e i Compagnons, chi avrebbe custodito nel tempo tutte queste conoscenze? Forse un popolo misterioso che ancora una volta è legato alla figura dell’oca.
Sul confine pirenaico tra Spagna e Francia, oltre all’enigmatico popolo Basco, viveva un’altra razza misteriosa dalle origini incerte: i Cagots. Chiamati anche Christiens o Christianos, erano un popolo fortemente discriminato per secoli per alcune peculiarità fisiche, in tempi in cui ogni difetto fisico era stigmatizzato come una punizione divina per una colpa commessa, quando non esplicitamente una forma di possessione diabolica. Costretti a vivere ai margini dei villaggi fino alla fine del XVII secolo, erano accusati delle azioni più bieche, di ogni nefandezza, oggetto di pesanti vessazioni ed evitati come la peste, anzi, come la lebbra, malattia di cui erano considerati portatori. Ma la tradizione vuole che fossero abilissimi costruttori e profondi conoscitori della medicina, tanto che tra di loro vi erano valenti chirurghi, levatrici e mastri muratori e poiché, secondo le antiche credenze, la lebbra non si diffondeva attraverso il legno, il mestiere di carpentiere era quello cui erano più spesso dediti, anche in virtù delle loro eccezionali conoscenze costruttive, discendenti, si raccontava, di un’antica razza sconosciuta che a questo punto diventa gioco facile associare alla mitica Atlantide. Ricordate Palamede, l’eroe che secondo la tradizione inventò il gioco dell’oca? Ebbene il suo nome significa: uomo dalla mano palmata e una delle maldicenze rivolte al popolo dei Cagots era proprio quella di avere le mani o i piedi palmati. Ora, senza sconfinare nella fantascienza della famosa serie di telefilm degli anni ‘settanta L’Uomo di Atlantide, dove un giovanissimo Patrick Duffy interpretava la parte di Mark Harris ultimo discendente della razza di Altlantide caratterizzato da inquietanti arti palmati, è ben noto che alcune malformazioni genetiche come la Sindattila causano esattamente l’aspetto di una mano palmata mentre l’isolamento e la consanguineità porterebbero facilmente alcune deformazioni congenite a presentarsi con una frequenza maggiore, fino a farne un marchio distintivo all’interno di una stessa comunità chiusa per secoli. Resta il fatto che i Cagots dovevano cucirsi sulla spalla sinistra, come segno di riconoscimento, un’insolita zampa d’oca rossa.
L’ipotesi, comunque molto affascinante, di un popolo esule sulle sponde iberiche, detentore e divulgatore di un profondo sapere tra gli ominidi del paleolitico in cui stava per nascere l’ Homo sapiens sapiens e che, più efficace di ogni linguaggio, per farlo usarono le immagini, solletica le menti di molti. Immagini che oggi noi non sappiamo più o non vogliamo più comprendere. Eppure, per citare una famosa frase tratta dal Vangelo di Filippo trovata tra i codici di Nag Hammâdi, 'La verità non è venuta nuda in questo mondo, ma in simboli e immagini. Non la si può afferrare in altro modo'. Varrebbe la pena, quindi, di cominciare a guardare l’innocente gioco dell’Oca con altri occhi.

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Il gioco dell’oca si è prestato nel tempo anche alla stesura di alcuni romanzi. Jules Vernes nel suo Le Testament d’un excentrique, lo ambientò sul suolo degli Stati Uniti dove la posta era naturalmente una somma straordinaria, pagine da cui è stato liberamente tratto nel 2001 il film comico Rat Race. Tra i contemporanei troviamo Laurent Kloetzer e il suo: La voie du Cygne, dove l’idea del gioco è resa durante tutto il racconto con frequenti interazioni tra il gioco sul tabellone e la vita reale: un gioco dal quale nessuno potrà recedere fino alla fine della partita. E infine, per tutti gli appassionati, una vera chicca: un intero museo dedicato alla raccolta dei vari tabelloni del gioco dell’Oca nei secoli. Si trova a Rambouillet, una cittadina a pochi chilometri a Sud di Parigi, una ‘casella’ su cui è obbligatorio a questo punto concedersi una sosta.


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