venerdì 31 ottobre 2008

1907, la rivolta dei vignerons (La petite Tonkinoise)




Era oramai giunta la fine di quel luglio eccezionalmente fresco del 1907. La carestia che si stava espandendo a macchia d’olio su tutto il territorio dipingeva spettrali quadri di disperazione quotidiana anche sotto la collina di Rennes-le Château. Marie proprio la settimana prima aveva visto Eliane – compagna nella cappelleria di Esperaza maritatasi poi con un viticoltore di Limoux - entrare nella panetteria di Coiuza con i suoi tre figlioletti e domandare timidamente sottovoce alla signora Camredon: “Avetz pas un pauc de pan? Avem pas res manjat dempuei ièr matin...” . Dopo il primo momento d’imbarazzo, tra le due donne si era presto ristabilita la vecchia intimità ed Eliane si era confidata a lungo con Marie rivelando il grave stato di indigenza di tutte le famiglie che avevano affidato speranzosi alle vigne il loro sostentamento. Alla fine, in cambio di una cassa di forte e generoso vino rosso, Marie aveva dato all’amica un coniglio e un grande cesto di verdura proveniente dai suoi rigogliosi orti. Orti e giardini che, insieme alla splendida villa dove sempre più spesso venivano ricevuti elegantissimi ospiti, costringevano ripetutamente Marie a ringraziare il miracolo che aveva permesso tutto ciò mentre intorno dilagava la disperazione. Quella domenica, per gli ospiti di villa Bethania, Marie aveva cucinato uno splendido ‘coc au vin’ proprio con il vino rosso avuto da Eliane e ben presto l’argomento ‘vino’ aveva acceso i toni di tutti i presenti. Dujardin-Beaumetz, sprofondato nella poltrona preferita di Saunière, denunciava il suo nervosismo tormentando il mozzicone del sigaro che avvolgeva con ampie spirali di fumo profumato tutta la sua persona. “Frodi e falsificazioni costringono ad un prezzo vergognoso la vendita del vino. Un centralismo cieco e dispotico, ecco cos’è attualmente il nostro governo.” “Ah, bièn Etienne! E così questa repubblica non ha fatto tutto quel bene che si aspettavano, eh?- Ribattè pronto Saunière che, come tutti i monarchici, seguiva con speranza lo sviluppo delle cose, sognando una rivalsa contro tutte le leggi anticlericali degli anni precedenti - Ma che guardino in faccia la realtà prima di lagnarsi! Prima trasformano in vigneti anche la buona terra, quando sapevano benissimo che solo i terreni incolti andavano coltivati a vite; poi, quando le loro cantine traboccano di vino invenduto, non hanno più nemmeno patate da mangiare. Bestiàs! Non gli è servita dunque a nulla la lezione della fillossera? Si sono mai preoccupati della concorrenza Algerina e Spagnola? Mai! Ma quali frodi… asini che non sono altro! ” Saunière spostò la tendina della finestra e guardò fuori, nel bel giardino di fronte. Faust e Pomponnet si stavano riposando vicino alla loro cuccia dopo aver scavato diligentemente altre nuove buche nel giardino e rovesciato alcuni vasi di gerani della Marro. Tra non molto il curato avrebbe goduto pienamente del disappunto provocato nell’anziana donna dall’operato delle due bestiole. La loro vista lo metteva sempre di buon umore: l’indisciplina di quei cani gli ricordava la sua giovinezza a Montazel insieme ad Alfred. Per arginare la loro esuberanza il padre fu costretto a chiuderli in seminario; Alfred era l’unico che poteva immaginare quale vulcano serbasse nell’intimo. Quanto gli mancava quello scapestrato fratello. La voce del deputato lo riportò alla realtà. Nonostante anni di amicizia, quando i discorsi prendevano la sdrucciolevole china della politica nulla poteva arginare le reciproche pesanti provocazioni; Saunière del resto non gli aveva ancora perdonato il recente voto a favore della separazione tra Stato e Chiesa. “…anche il vostro giornale monarchico ‘Le Roussillon’ però, dopo questi disordini intravede un periodo di reggenza popolare. Non è un discorso paurosamente vicino a quello socialista?” stava obiettando sarcastico Dujardin. Tiburce Caminade smise di botto di strimpellare sul pianoforte. Né lui né la Calvè del resto, erano più riusciti a suscitare le irrefrenabili risate che i doppi sensi dello scollacciato motivetto da Vaudeville avevano saputo scatenare fino a pochi minuti prima tra gli ospiti. “Ricordatevi bene che l’unica bandiera rossa che sventola qui intorno, è quella della lotta Occitana! – sbottò – Bene han fatto i sindaci a gettare in faccia al governo le loro sciarpe tricolori e ad issare la bandiera nera sui municipi: qui la Repubblica è morta! A Limoux e ad Alet la situazione è insostenibile e a Narbonne le nostre delegazioni sono state più volte minacciate dall’esercito. Che grande gioia ci hanno dato il mese scorso i fanti del 17° schierati a Béziers contro i viticoltori quando si sono ammutinati… hanno fatto finalmente capire a Parigi che questa è la terra di un popolo unito e forte. Dopo quanto è successo non riusciranno più tanto facilmente a reprimere la lotta popolare. L’indipendenza della Linguadoca potrebbe non essere più solo un sogno.!” Concluse quasi sottovoce. Dal suo accorato discorso trasudava tutto l’amore per la sua gente, ma anche un insospettabile temperamento sovversivo. “Suvvia signori – intervenne Emma conciliante - possibile che riusciate a litigare anche sostenendo le medesime convinzioni?” Il vestito di seta marrone frusciava ad ogni passo e il bustino che le stringeva la vita esaltava l’armoniosa forma del grande seno materno catturando irresistibilmente lo sguardo dei tre uomini; a quarantanove anni Emma era ancora una splendida donna e con le idee molto chiare. “ Dopo la sanguinaria repressione a Narbonne ordinata dal ‘Tigre’ anche i socialisti di Jaurès si sono allontantati da Clemenceau. Vedrete che presto Parigi non potrà fare a meno di intervenire con buone leggi se non vorrà vedere di nuovo una rivoluzione insanguinare la nostra bella terra.” “Un’altra rivoluzione? - Chiese allarmata Marie che saliva dalla cucina in quel momento con un grande vassoio pieno di bicchieri di cristallo tra le mani – ci mancherebbe solo quello. Ancora non ci siamo sistemati gli strascichi di quella passata. Dio ce ne scampi!” “Brava Marinette! – asserì Saunière che, in fondo, conscio della diversità di pensiero dei suoi ospiti, non vedeva l’ora di ricomporre il precario equilibrio che si era formato prima di quella discussione – un brindisi con il nostro migliore vino del Midì è il modo migliore per allontanare lo spettro di un’altra guerra tra poveri …” . Il botto del tappo e il vino spumeggiante riportarono il buonumore tra i presenti. Emma si riavvicinò al pianoforte sfiorando intenzionalmente il curato affatto insensibile al fascino della bella donna. Il deputato, cui non era sfuggito il gesto, soffiò una nuova nuvola di fumo verso l’alto sorridendo sotto i lunghi mustacchi. L’architetto riprese il motivetto da dove l’aveva interrotto e la voce di Emma tornò a riempire la sala: « ...Je suis vive, je suis charmante Comme un petit oiseau qui chante Il m'appelle sa petite bourgeoise Sa Tonkiki, sa Tonkiki, sa Tonkinoise... ” Marie, che aveva smesso di versare il vino nei calici, alzò il suo alla salute e fissando negli occhi la dama appoggiata al pianoforte concluse con voce ferma la strofa : “…D'autres lui font les doux yeux Mais c'est moi qu'il aime le mieux. ”


...e cric e crac, mon conte es acabat!


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